Quanto più vaghe ed incerte sono le cognizioni sulle origini del Gioco del Ponte desunte da fonti attendibili, tanto più la fantasia popolare pisana interviene a coprire le lacune. è altresì chiaro che, ritenute le origini di Pisa antiche e famose, anche la nascita del suo Gioco sarebbe dovuta essere altrettanto antica e famosa. Alcune fonti vogliono far risalire le origini del Gioco del Ponte addirittura all'antichità classica. Non risultando certe tali ipotesi, si pone l'attenzione ad un periodo più recente anche se antico, attraverso la trasformazione locale del Gioco del Mazzascudo, che, nel tredicesimo secolo, sotto vario aspetto, veniva giocato nella quasi totalità delle città della Toscana e dell'Umbria. L'opera "Oplomachia Pisana" (1713) di Camillo Ranieri Borghi costituisce il trattato fondamentale sulle origini del Gioco. Il Borghi discute alcune tesi circa le origini del Gioco del Ponte attingendo notizie da manoscritti di sua proprietà e dalle opere del Cervoni, risalenti alla metà del Seicento. La prima edizione del Gioco del Ponte conosciuta e certa porta la data del 22 febbraio 1568. Un manoscritto, oggi andato perduto, riporta che a forza di sassate la vittoria fu dei Cavalieri di Mezzogiorno. La prima traccia ufficiale nella storia del Gioco del Ponte si riallaccia chiaramente ad un tipo di combattimento in uso a Firenze: la "guerra con i sassi", proibita in seguito da Francesco I°.
Targa commemorativa - Pisa, Piazza dei Cavalieri
Il Mazzascudo ed altri giochi militari, consistenti in battaglie simulate, a Pisa avevano la funzione di addestrare gli uomini alla guerra. Un poemetto, scritto nel quindicesimo secolo ci fornisce importanti notizie su questo tipo di combattimento. Come tutti i giochi di questo genere, sembra si giocasse nel periodo di carnevale. Si effettuava probabilmente nella Piazza degli Anziani (l'attuale Piazza dei Cavalieri). In quest'arena i singoli giocatori (combattenti), equipaggiati con corazze, mazze e scudi, potevano misurarsi l'uno con l'altro per tutta la giornata. Gli scontri individuali lasciavano posto, nel finale, ad una battaglia generale con i combattenti suddivisi in due schiere "del Gallo" e "della Gazza". I primi indossavano elmi dorati e i secondi color cinabro, onde potersi distinguere nella mischia. è proprio questo aspetto che ha fatto maturare l'ipotesi della trasformazione dei questo combattimento in "Gioco del Ponte", nel 16° secolo, fino a portarlo, in lenta evoluzione, agli splendori del 18° secolo.
Il Ponte, sede della Battaglia, era il Ponte Vecchio, corrispondente all'attuale Ponte di Mezzo, e scopo dello scontro era la conquista di una parte o di tutta la metà occupata dalla fazione avversaria.
I giocatori di entrambe le Parti, Tramontana a Nord, Mezzogiorno a Sud, erano suddivisi in squadre composte ciascuna da 50 o 60 soldati. Le due fazioni contrapposte erano articolate in un numero variabile di squadre. Si sono succedute anche edizioni in cui si sono riscontrate disparità tra le squadre che componevano le due fazioni. Le squadre venivano individuate dal nome dell'armatore o desunta direttamente dal costume di fantasia indossato. Ogni squadra si distingueva per propri colori ed insegne. I costumi seguivano la moda del tempo, quando addirittura non si creava un abbigliamento di fantasia che si rifaceva al periodo delle imprese miliari contro i Turchi, o all'epoca classica, con foggia romana o greca. Le squadre caratterizzate dalla denominazione di fantasia tendono ad acquisire, con il passare del tempo, una denominazione di ordine topologico e si stabilizzano nel numero di dodici. Così i costumi dei combattenti acquistano una foggia unica: i colori contraddistinguono le squadre. La camiciola in tela di taglio sciolto e largo, con mezze maniche, lunga fino alle ginocchia, ed aperta sul davanti, veniva indossata sopra le protezioni composte da imbottiture ed armature.
Scuola Pittorica Italiana - XVII secolo, "Il Gioco del Ponte dei Pisani" - Firenze, Museo Stibbert
Le Parti si schieravano in corrispondenza dell'antenna che segnava la mezzeria del Ponte "impostando" le proprie schiere secondo precisi schemi per attuare specifiche tattiche militari. Le "tecniche di guerra" nel corso dei secoli subirono una lenta e graduale modificazione. Nell'Oplomachia del Borghi viene chiaramente indicato l'utilizzo di due "Forti" o "Affronti" per ciascuna parte, che, composti da 60 soldati ciascuno, venivano posti in mezzo al ponte (a delimitare il territorio di competenza) per fare da torri, impedendo l'accesso nel proprio campo ai soldati nemici. Tra i forti rimaneva uno stretto corridoio (la "Buca") nel quale venivano inviati altri gruppi di soldati, affiancati dai "Celatini": combattenti leggeri, che avevano il compito di sgretolare i forti avversari, catturare i soldati nemici e trascinarli nel proprio Campo. Lo studio delle tattiche per l'impostazione dei forti, dei Celatini, e delle altre truppe fresche di rinforzo era di competenza del Generale e del proprio Consiglio di Guerra.
L'affermarsi di alcune consuetudini, portarono alla codifica di una serie di stratagemmi: far indietreggiare un proprio "forte" per invitare in avanti il nemico, prenderlo su di un fianco e catturarne il maggior numero possibile di uomini; oppure impostare un falso "forte", magari scambiando le sopravvesti dei soldati, per intervenire poi massicciamente a sorpresa.
La durata dei combattimenti, che in origine era di due ore, venne poi fissata in 45', al termine dei quali si cercava di "far Bastione" utilizzando tutte le truppe disponibili in un ultimo sforzo, per mantenere il terreno conquistato o per cercare di recuperare quello perduto.
Con il passare delle edizioni il combattimento impostato sui due "forti" si trasformò in scontro in unica falange. La falange doveva cercare di restare sempre intatta, coperta e protetta da altre truppe che fungevano da "fodera". Così si puntava soprattutto alla conservazione del terreno, assicurandosi innanzitutto la sicurezza di non perdere. L'ingresso di truppe fresche era ridotto a sei uomini ogni due minuti in soccorso del "forte".
I combattimenti assunsero pertanto una forma più statica, ma non per questo meno spettacolare. Quando l'equilibrio si rompeva potevano verificarsi clamorose vittorie, come quella conseguita da Mezzogiorno nel 1716, che in meno di 25 minuti riuscì a disperdere il forte nemico, facendo ben 265 prigionieri.
Con il passare degli anni, la presenza Medicea nel Gioco rallentò, dando spazio ad una maggiore autonomia della nobiltà e borghesia pisana che aveva sempre considerato il Gioco del Ponte elemento di "pisanità", quasi una rivincita, anche se occasionale, sul destino che aveva visto Pisa, un tempo città stato, soggetta alla dominazione fiorentina. Questo desiderio di autonomia, e l'esasperarsi dell'agonismo sul Ponte, resero il Gioco del Ponte poco gradito a Pietro Leopoldo, Granduca di Toscana, tanto che dopo una sfarzosa edizione del 1785, favorita per motivi strettamente politici, il sovrano non concesse più il permesso di effettuare la famosa Battaglia, che conoscerà così il suo primo lungo periodo di interruzione, fino al 1807.
Fonte:
Il Gioco del Ponte di Pisa
memorie e ricordo in una città
Vallecchi 1980